Italo Calvino e Karina Puente: 55 [In]visible Cities Project

ItaloCalvino

Oggi è una giornata particolare qui su Baltico, si torna a parlare di illustrazione intrecciata alla letteratura: è, infatti, l’anniversario della morte di Italo Calvino, mostro sacro e genio assoluto che ci lasciava oggi trentadue anni fa.

Quantificare l’impatto che i suoi lavori hanno avuto sulla letteratura e le arti in generale è cosa impossibile e non trovo ci sia il bisogno di lasciare qui di seguito righe scritte al solo scopo di introdurvelo; è un nome che risuona con una forza tale che credo ognuno di noi abbia avuto una sua personalissima esperienza e lo abbia in qualche modo “vissuto”; una presenza sottile che si finisce per ritrovare nei campi più disparati.

Mi viene quindi da parlare di illustrazione e allo stesso tempo di architettura, scegliendo uno dei suoi lavori che ho amato di più: “Le città invisibili“. L’opera, pubblicata nel 1972, è uno dei cardini della produzione calviniana e si compone di nove capitoli nei quali, in un fittizio dialogo fra Marco Polo e l’imperatore dei Tartari Kublai Khan, vengono descritte in modo fantasioso e immaginifico le numerose città che si trovano nell’impero del Khan.

È delle città come dei sogni: tutto l’immaginabile può essere sognato ma anche il sogno più inatteso è un rebus che nasconde un desiderio oppure il suo rovescio, una paura. Le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure. Italo Calvino

ZIRMA_KarinaPuente

In una relazione strettissima tra letteratura, arti visive e architettura, in molti sono rimasti influenzati dalla lettura di quest’opera, anche grazie alle infinite possibilità rappresentative che offre all’immaginazione di chi si trova a leggerla.

Fra i tanti progetti sono incappata in questo studio fatto dalla cilena Karina Puente: 55 [In]visible Cities Project.

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Richard Tuschman: Hopper Meditations

Richard Tuschman - Hopper Meditation

Ormai avrete capito che il mio amore per Hopper è praticamente infinito. Tra i vari giri e immersioni nell’internet avevo scovato i lavori di Richard Tuschman, di professione fotografo, che lo celebra con una serie di scatti chiamati appunto Hopper Meditation.

Non potevo non parlarne, anche se sono colpevolmente in ritardo sulla questione; prendetevi il tempo di osservare la ricostruzione perfetta degli ambienti e delle atmosfere hopperiane, quel sentimento di alienazione urbana, la solitudine, la malinconia, qui perfettamente riprodotte grazie a un minuzioso lavoro di scenografie e messa in posa.

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